Il tema se sia lecito e possibile edificare una piscina su un terreno condominiale può apparire bizzarro, invece è trattato dalla giurisprudenza con dovizia di particolari con l’ausilio di un caso realmente accaduto
La prima cosa da verificare è che lo spazio dedicato all’opera non sia quello destinato alle costruzioni civili.
La legge stabilisce che lo spazio non occupato dalla casa deve essere destinato a giardino, bisognerà quindi vedere se la piscina su un terreno condominiale è architettonicamente compatibile con l’idea di giardino all’aperto.
La questione è assai complessa e richiede una valutazione caso per caso.
La prima cosa da vedere è se la struttura che si vuole edificare ha degli elementi di compatibilità con l’idea di giardino, dopo di che verificare se è consentita dal regolamento condominiale nello specifico.
La diatriba esaminata assurta a caso esemplare della pratica e arrivato a giudizio, è quello di un albergo che aveva edificato una piscina in un edificio in condominio (cioè in spazi comuni) con strutture annesse come sauna, spogliatoio sullo spazio di un lotto scoperto e destinato a giardino.
A ricorrere in giudizio erano gli altri condomini che chiedevano al giudice la rimozione della piscina su un terreno condominiale appellandosi a una precisa clausola del regolamento condominiale, a suo tempo sottoscritto anche dalla proprietà dell’albergo dove veniva espressamente vietata una diversa destinazione da quella di giardino.
Il giudizio di primo grado dava ragione alla proprietà dell’albergo che aveva proceduto a edificare la piscina perché dichiarava decaduto il regolamento condominiale per il tempo trascorso dalla sua sottoscrizione.
Il giudizio di appello riportava la palla al centro del campo, annullando il giudizio di primo grado e dichiarando che la piscina su un terreno condominiale “non fosse in alcun modo riconducibile all’idea di mantenere il terreno a giardino, da intendersi come destinazione a svago, relax, passeggio, coltivazione di piante ornamentali e fioriere ornamentali”.
Ma la storia non è finita qui, perché arriva la Cassazione e ribalta tutto quanto dichiarando che la decisione non è scontata e sempre la stessa, ma deve essere il frutto dell’analisi delle circostanze concrete che vanno dalla valutazione delle caratteristiche del manufatto e dal contesto progettuale in cui esso si inserisce oltre che da una attenta ricognizione della storia che ha portato alla sua edificazione.
La Suprema Corte “Ha ritenuto l’estraneità della piscina al concetto di giardino, inteso come terreno destinato a relax o passeggio, coltivato a piante ornamentali e fioriere, senza ulteriori precisazioni”.
Tuttavia, precisa nell’estensione, se è vero che dal punto di vista tecnico la definizione di giardino non prevede la piscina (mentre prevede, in alcune varianti, fontane, cascate e giochi d’acqua), la questione non è una discussione che vuole spaccare il capello ma occorre – ai fini della risoluzione del caso di specie – “la verifica in concreto delle caratteristiche specifiche del manufatto e del contesto in cui si inserisce”.
Quindi il rischio serio e concreto è che si debba sottoporre ogni volta il singolo manufatto al giudice per avere un giudizio.