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cacciare il coniuge di casa

 

Cacciare il coniuge di casa non è possibile in caso di lite a meno di non voler essere accusati del reato di violenza privata.

La Cassazione ha sentenziato in merito ponendo fine a uno delle situazioni più controverse, quella che affligge decine di migliaia di coppie nel nostro Paese.

Parecchie persone cadono nell’errore di intimare lo sfratto al coniuge, con tutti gli oggetti che gli appartengono al seguito nel momento in cui la convivenza diviene infernale e le liti aumentano di intensità ogni giorno.

Una situazione che si configura molto spesso è che la parte apparentemente più forte, cioè l’uomo decida di cacciare il coniuge di casa intimando alla moglie di abbandonare l’immobile.

Ebbene questo tipo di comportamento configura il reato di violenza privata. Lo ha stabilito la corte di Cassazione in maniera definitiva e inequivocabile: non si può cacciare il coniuge di casa.

Nel dettaglio la Corte Suprema ha ribadito che commette il reato di violenza privata la persona che con la coartazione o la minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa.

Costui o costei è punito con la reclusione fino a quattro anni.

Nel caso giudicato dalla corte a cacciare il coniuge di casa è stato il marito che si è visto affibbiare una condanna per il reato di violenza privata insieme a quello di lesioni personali, danneggiamento e ingiuria ai danni della moglie.

La situazione si è verificata all’interno di una tempestosa relazione che costringeva la signora addirittura a trasferirsi dalla madre, per tentare di recuperare una situazione di calma esistenziale e tranquillità viste le continue escandescenze del marito e l’impossibilità di avere una relazione civile.

Dopo una po’ di tempo tentava di rientrare nell’appartamento condiviso con il marito, ma nell’atto di accedere nell’abitazione incontrava l’ostilità del marito che arrivava a danneggiare alcuni degli oggetti acquistati dai coniugi insieme, arrivando addirittura a percuotere la moglie per bloccare il suo tentativo di chiamare le forze dell’ordine.

In aula l’uomo ha tentato di articolare la sua difesa affermando che, visto che la moglie aveva fatto ritorno a casa dei genitori, l’abitazione in quel momento era solo nella sua completa e totale disponibilità.

La Corte invece respingeva la sua interpretazione e condannava l’uomo per il suo comportamento ritenendolo responsabile del reato di lesioni personali insieme a quello di violenza privata danneggiamento e ingiuria.

In sintesi anche se uno dei due coniugi si assenta dalla casa di famiglia, ha sempre e comunque diritto a rientrare a meno che non subentri un provvedimento giudiziario di assegnazione dell’abitazione. Fino ad allora la dimora coniugale resta nella disponibilità di tutti e due i coniugi in maniera totale. Nessuno dei due può impedire il libero accesso all’altro.

La vecchia frase “se esci da quella porta non metti più piede in questa casa” non è attuabile, a meno che non si voglia incorrere in  una condanna penale e al pagamento di tutte le spese processuali.

 

CategorySentenze

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